Rappresentata con successo a Parigi nel 1961, anche se composta negli anni Cinquanta, e definita dall’allora critico teatrale di Le Monde un gioco con carte truccate ottimo per ammazzare il tempo, Otto donne e un mistero, in originale Huit femmes, è arrivata nei giorni scorsi sul palcoscenico del Teatro Bobbio di Trieste.
Non è la prima volta che la pièce calca i palcoscenici italiani, e se c’è una versione che merita di essere ricordata è quella del 2008, con canzoni scritte appositamente da Rossana Casale, che preservava il formato semi-musicale voluto da François Ozon per il suo film del 2002, in cui ogni donna cantava una canzone che la identificava.
La struttura del testo, di per sé, non possiede una sua originalità – otto donne bloccate in una casa isolata dalla neve e costrette a confrontarsi con un omicidio – ed è inevitabile, anche se inappropriato, il confronto con Trappola per topi di Agatha Christie, ambientata in un contesto simile ma con un livello di tensione molto più alto e un gioco in cui quasi fino alla fine resta il dubbio su chi siano i topi e chi il gatto. Nell’opera di Robert Thomas quello che conta non è “la caccia al colpevole” quanto le personalità delle donne impegnate nella caccia. Ne consegue che se alla fine ci si sente un po’ ingannati, si può trovare consolazione nell’aver assistito a una seduta di psicoanalisi per principianti dove le psicoanalizzate sono le otto protagoniste, perfetta incarnazione di otto tipi diversi di donna che sembrano essersi coalizzati per distruggere la vita dell’unico uomo, peraltro già morto all’inizio della pièce.
Bisogna tenere conto del fatto che siamo negli anni Cinquanta, e non in epoca attuale, e ci troviamo dunque di fronte a una società patriarcale dove tutte le donne di casa, domestiche comprese, finiscono per dipendere da una figura maschile centrale che diventa anche la valvola di sfogo delle loro frustrazioni. Gaby, moglie di Marcel, si cura delle figlie il minimo indispensabile e cerca in tutti i modi di non perdere l’agiatezza fino a quel momento garantitale dal marito; Pierrette, sorella di lui, lo utilizza, per sua stessa ammissione, come una mucca da latte da cui attingere soldi; Augustine, sorella di Gaby, si comporta da zitella inacidita e scarica continuamente la responsabilità di questo suo stato sugli altri; Mamy, madre di Gaby e Augustine, vive abbracciata giorno e notte ai suoi titoli di stato, che si guarda bene dall’utilizzare per salvare il genero dalla bancarotta, e pur vivendo a carico di quest’ultimo, non fa che disprezzarlo; Suzon, primogenita di Gaby, è andata a studiare in Inghilterra e dimostra per il padre un eccessivo attaccamento; Catherine, la figlia minore, è intraprendente e a volte sfacciata, troppo impegnata a smascherare i segreti degli altri ma poco disposta a svelare i suoi; Chanel, la domestica, conosce le altre donne di casa a menadito, ma è profondamente sola e non esita a tormentare Marcel per perorare le cause in cui crede; Louise, cameriera appena assunta, ha un fascino quasi perverso di cui fa regolarmente sfoggio davanti al padrone di casa.
Ognuna delle otto donne ha un motivo più che valido per disfarsi del patriarca, ma se all’inizio la domanda che lo spettatore si pone è: “Chi è stato?”, con il progredire della pièce questa si trasforma in: “Tra queste donne, ce n’è una che merita il mio rispetto?”. Di primo acchito, verrebbe da rispondere no, ed è attorno a questo che ruota il finale dello spettacolo. Tuttavia, Robert Thomas non porta sul palcoscenico un dramma, ma una commedia, e il susseguirsi di battute al vetriolo, cariche di amara ironia, smorza l’odio che si potrebbe provare nei confronti di personaggi così subdoli e privi di scrupoli e finisce per renderli simpatici, e quasi ridicoli, nei loro difetti.
La versione italiana allestita al Teatro Bobbio, con riduzione da tre atti a due, presenta una scenografia funzionale su più livelli che permette alle protagoniste di spostarsi tra i vari ambienti della casa senza che lo spettatore sia colto dal classico effetto claustrofobia. Unico problema, le attrici sono costrette a salire e scendere più volte le pur non numerose scale, il che non è molto pratico nel momento in cui gli scambi di battute si fanno più serrati.
I costumi sobri ed eleganti, ma senza esagerazioni, con dettagli molto curati, rispecchiano bene l’epoca di ambientazione.
Il testo non prevede un movimento frenetico, con rapida sequenza di entrate e uscite, come invece avviene nei classici vaudeville, ma i dialoghi sono veloci e non consentono alle interpreti la benché minima esitazione. Il che rende apprezzabile il lavoro di gruppo delle attrici per mantenere una resa equilibrata, senza eccessi né uscite sopra le righe, e per tratteggiare al meglio ogni personaggio senza che nessuna cerchi di prevalere sull’altra. L’affiatamento c’è e permette al pubblico di assistere a una pièce senza sbavature di cui va ammirato il cast nel suo complesso e non solo la singola e distinta interpretazione.
Repliche fino a stasera.
Info e prenotazioni sul sito Contrada.it