Attualmente, in Francia, Queneau è il solo scrittore ad avere stile, idee e linguaggio unici: probabilmente è troppo per un uomo solo, e Gaston [Gallimard] preferisce aspettare che Raymond abbia anche una barba lunga e una sedia a rotelle prima di farlo uscire in centomila copie e schiaffarne ovunque le gigantografie.
(Boris Vian, Manuel de Saint-Germain-des-Prés, 1950)
Rappresentato per la prima volta cinque anni dopo la pubblicazione degli Esercizi di stile (1947) di Raymond Queneau, Cinemassacro (1952), di Boris Vian, è anch’esso, nel suo piccolo, un esercizio di stile. Partendo dal presupposto, neanche tanto errato, che le trame cinematografiche dell’epoca si assomigliassero un po’ tutte focalizzandosi su tre elementi classici quali un uomo, una donna e una storia d’amore, Boris Vian, su suggerimento di Pierre Kast e Jean-Pierre Vivet, decise di trasferire il cinema sul palcoscenico attraverso una serie di sketch in grado di parodiare i generi più celebri della settima arte. Fu così che, la notte dell’8 aprile 1952, il palcoscenico del cabaret La Rose Rouge di Parigi ospitò la prima rappresentazione di uno spettacolo destinato a superare le quattrocento repliche e ad essere ripreso, due anni dopo, dalla compagnia del teatro Les Trois Baudets per restare in scena altri nove mesi. Questo fa di Cinemassacro uno dei testi brevi di maggior successo di Boris Vian benché le informazioni disponibili sulla sua realizzazione siano veramente poche.
A quanto risulta dalle critiche teatrali risalenti a quel periodo, e depositate presso la Bibliothèque Nationale de France[1], in origine gli sketch, prologo escluso, erano più numerosi rispetto a quelli messi in scena a Les Trois Baudets (Gangster, Ladri di culotta miraculosa, Un parigino a Nuevaiorc, Il sorcio delle nebbie, Air Farce, Androclo e Cleopatra, La redenzione di Blanche Durand con una messa in cena di Leonardo Da Vinci, Nel paese dei Botocudo ovvero Tarzan senza le scimmie, Horror Movie). Tra i testi eliminati durante il passaggio da La Rose Rouge a Les Trois Baudets risulterebbero: una parodia dei film di Charlot; uno sketch dedicato al regista Marcel Pagnol (che viene citato nel prologo ma non figura nella raccolta) e, ma su questi ultimi si nutrono alcuni dubbi, un testo che ricorderebbe da vicino Il terzo uomo di Carol Reed, tratto dal romanzo di Graham Greene, e un testo incentrato sulle versioni cinematografiche delle avventure del commissario Maigret di Simenon. Inoltre, secondo lo studioso Noël Arnaud, lo sketch Un parigino a Nuevaiorc, evidente parodia di Un americano a Parigi, difficilmente fu rappresentato a La Rose Rouge poiché la pellicola fu girata nel 1951 e diffusa nel 1952, quindi all’epoca Boris Vian non poteva averla ancora vista. Lo stesso discorso vale per il film Cantando sotto la pioggia, citato all’interno del medesimo sketch, che uscì nelle sale sempre nel 1952.
Un altro elemento che si evince dall’analisi dei pochi riferimenti a disposizione è la storpiatura dei nomi dei registi citati nei testi. Nel programma di sala originale de La Rose Rouge sembra che Boris Vian avesse provveduto a parodiare non solo i titoli dei film ma anche il nome di chi li dirigeva; si avevano così, tra gli altri, Alfred Hitchpoule, Vittorio De Simca, Marcel Carré e Cecil B. De Cent Mille.
Per quanto riguarda i titoli degli sketch, anche in questo caso le due versioni si presentano discordanti. Nella prima, l’autore aveva attribuito un titolo praticamente a tutti i testi; nella seconda, invece, alcuni titoli sono stati sostituiti dalla dicitura senza titolo pur trattandosi, sempre prendendo come riferimento le critiche teatrali, del medesimo testo.
La struttura dei testi
L’idea alla base degli sketch è molto semplice: un produttore e un soggettista iniziano a discutere sulla possibile realizzazione di un film la cui trama, a detta del secondo, è “originalissima”. Allo scopo di decidere verso quale genere cinematografico orientarsi, il produttore suggerisce di chiedere a ogni regista una bobina di prova che metta in evidenza i pregi e i difetti di quella pellicola. Si susseguono, così, nove sceneggiature di identica ambientazione (un bar che muta di aspetto a seconda del genere rappresentato) dove ogni personaggio parla un linguaggio stereotipato e si muove e agisce in modo prevedibile. A collegare le storie è il leitmotiv riferito al tempo meteorologico: salvo nel primo sketch, in tutti gli altri almeno uno degli avventori esclama: “Che tempo!” ottenendo la classica risposta: “È da otto settimane che va avanti così” formulata in modo diverso a seconda che si tratti di un film neorealista, storico, religioso, horror e via dicendo.
Rispetto a Raymond Queneau, che nei suoi Esercizi di stile raccontava la stessa storia novantanove volte ricorrendo a diversi espedienti stilistici che potevano riguardare l’utilizzo di figure retoriche, linguaggi settoriali, generi letterari o variazioni enigmistiche, Boris Vian riscrive il medesimo soggetto nove volte avvalendosi di tutti i cliché che hanno fatto la storia del cinema.
Nella maggior parte dei casi, ogni singolo sketch è costruito non come parodia di un unico film ma di più pellicole assemblate assieme; vedesi ad esempio Ladri di culotta miraculosa, di Vittorio De Simca, che prende come riferimento Ladri di biciclette (1948) ma anche Miracolo a Milano (1951), oppure Androclo e Cleopatra, di Cecil B. De Cent Mille, che si rifà a Cleopatra (1934) e a Sansone e Dalila (1949).
Il testo Air Farce, in compenso, che deve il suo titolo alla pellicola Air Force conosciuta in Italia come Arcipelago in fiamme (1943), si distingue per il modo in cui denuncia apertamente la stupidità e l’assurdità della guerra. Ad evidenziarlo è il confronto, e contrasto, tra i cartelli appesi alle pareti – No Colored people admitted; For Caucasiona only; Drink coca cola; Watch your step, budly; Uncle Joe’s got long ears – e il discorso finale del secondo pilota su giustizia, uguaglianza e democrazia, da cui si evince che la vita di un cane vale di più di quella di un uomo:
I nostri bombardieri si sono subito alzati in volo e si sono ritirati solo dopo aver inflitto ai Mig delle perdite importanti. Fortunatamente, il villaggio di Kingston era stato evacuato alcuni minuti prima per ordini superiori. Ciononostante, piangiamo la morte di Bessie, una cagna albina di tredici anni di proprietà del pastore Jonathan Cutter che, all’ultimo momento, non se l’è sentita di abbandonare l’animale infermo… […]
Il secondo pilota […] Jimmy, poco fa tu hai chiesto perché combattiamo. Lo conosci il motivo? L’hai capito adesso? (Jimmy singhiozza sulla spalla di Mac) Hai capito che finché esisteranno i comunisti in Europa dell’Est la vita per il mondo civilizzato sarà impossibile? È per questo che combattiamo, Jimmy… Combattiamo contro l’ingiustizia che fa sì che da un momento all’altro, e senza rimorsi, i barbari sterminino un animale innocente. Combattiamo perché da un capo all’altro della Terra possa regnare la giustizia, l’uguaglianza e la democrazia…
Lo sketch è dunque un altro esempio di quell’antimilitarismo più dettagliatamente descritto in opere precedenti quali Tutti al macello (1947) e Generali a merenda (1951). A questo proposito vale la pena citare quanto affermato da Boris Vian stesso in difesa della sua canzone Il disertore (1954) che narrava la storia di un uomo che si rifiutava di andare in guerra: “Non sto dalla parte dei prodi: riformato per problemi di cuore, non ho combattuto, non sono stato deportato, non ho preso parte al conflitto. Per quattro anni sono rimasto solo un imbecille denutrito in mezzo a tanti altri, uno che non capiva, perché per capire bisogna che qualcuno te lo spieghi”[2].
Secondo il letterato e critico teatrale Christian Mégret, che all’epoca ebbe modo di assistere a entrambe le versioni di Cinemassacro e che ne scrisse una recensione sulla rivista Arts et Lettres, l’obiettivo di Boris Vian è portare alla luce il male maggiore del cinema: la convenzione. Ne consegue che con questo suo spettacolo l’autore dimostri la veridicità di una delle teorie di André Malraux secondo la quale: “Ogni opera nasce non tanto dall’osservazione del mondo esterno quanto da un’altra opera preesistente”[3].
Fermo restando la validità dell’affermazione di Mégret, va detto che lo scopo di Vian è anche ludico. Negli anni immediatamente precedenti la prima versione di Cinemassacro, infatti, l’autore si dedicò alla traduzione di cinque romanzi polizieschi dall’inglese al francese, L’enorme ingranaggio di Kenneth Fearing; La donna nel lago e Il grande sonno di Raymond Chandler; È arrivato Lemmy Caution di Peter Cheyney e Il contrabbando d’amore di James M. Cain. Quest’ultimo autore è meglio noto per Il postino suona sempre due volte, e non è un caso che nell’ultimo sketch di Cinemassacro, Horror Movie, compaia proprio un postino. Quello che si evince da queste traduzioni, secondo lo studioso Marc Lapprand che all’argomento ha dedicato il saggio Les traductions parodiques de Boris Vian[4], è il gusto per la parodia. Vian non si limita a trovare un corrispondente nella sua lingua materna del testo di partenza ma opera una riscrittura personalizzata, ma discreta, che gli permette di lasciare la sua impronta autoriale. In particolare, gioca molto sul registro tonale di certe scene e certi dialoghi traducendoli in modo più o meno libero; l’autore, infatti, si dimostra più cibliste che sourcier, cioè più orientato verso il testo d’arrivo che di partenza, e questo perché la sua conoscenza dell’America è puramente legata alla letteratura d’importazione e alle persone che frequenta nell’ambiente del jazz. Malgrado ciò, il modo di agire di Vian non danneggia la resa del testo poiché egli mantiene comunque uno stile omogeneo che rispetta la norma del romanzo poliziesco americano e ne favorisce l’introduzione in Francia[5].
Alcuni degli esempi traduttivi citati da Lapprand si rivelano interessanti poiché rispecchiano il medesimo atteggiamento che Vian assume nei confronti delle parodie cinematografiche qui citate. Nel volume La donna nel lago di Chandler, Lapprand rileva l’utilizzo di una parola inattesa. L’espressione americana The hell with both of you viene resa da Vian con Que le diable vous patafiole tous les deux. Ora, il verbo patafioler (maledire) è di uso popolare-familiare e conosceva larga diffusione in quel periodo ma non in contesti come i romanzi polizieschi. Vian trasforma, quindi, un’imprecazione seria in qualcosa di estremamente ridicolo. Allo stesso modo, nello sketch di Cinemassacro Ladri di culotta miraculosa, Vian si avvale di un linguaggio artificiale, nato dalla fusione di francese e italiano, che porta alla creazione di parole originali dove sostantivi francesi si combinano con suffissi italiani o dove superlativi assoluti, inventati di sana pianta, acquisiscono un significato comico. Due degli esempi più calzanti sono rappresentati da vieux pistolezzi, in cui il sostantivo pistolet acquisisce il suffisso –ezzi, e dal superlativo affichissime, riferito ai manifesti che il personaggio deve attaccare. In Gangster, invece, più simile all’hard-boiled alla Chandler, si ritrova il linguaggio popolare-familiare visto sopra con battute quali Il a descendu sept flics et un bijoutier et il s’est calté; calter può assumere varie sfumature di significato: darsela a gambe, battersela, tagliare la corda, svignarsela, ma sempre velate di ironia. Un’altra espressione che si ritrova nello sketch è Il lui file un patin de quarante-cinq tours de bobine, dove patin è il bacio alla francese reso ancora più comico dal paragone con i quarantacinque giri di bobina.
Contesto in cui si colloca Cinemassacro rispetto alle altre opere di Boris Vian
Nell’arco della sua breve vita, Boris Vian (1920-1959) ebbe mille volti e mille talenti. Fu ingegnere, trombettista jazz, chansonnier, attore cinematografico, romanziere, drammaturgo, critico musicale, traduttore, iconoclasta, esperto di science-fiction e pornografo convinto. In ambito letterario, arrivò al successo con i quattro romanzi scritti sotto lo pseudonimo di Vernon Sullivan: Sputerò sulle vostre tombe (1946), Tutti i morti hanno la stessa pelle (1947), E tutti i mostri saranno uccisi (1948) e Perché non sanno quello che fanno (1950). Queste opere, dal contenuto scabroso, fecero sì che l’attenzione del pubblico dell’epoca si focalizzasse solo su un aspetto della vita di Vian tralasciando gli altri; ne consegue che i suoi testi più importanti, e stilisticamente innovativi in quanto sovvertono le convenzioni linguistiche, passarono in secondo piano venendo riscoperti solo nella seconda metà degli anni Sessanta quando gli studenti francesi iniziarono a leggere La schiuma dei giorni (1947). Da questo momento in poi ci fu una progressiva rivalutazione dell’opera di Vian che portò alla ristampa dei suoi testi più noti, ma anche alla pubblicazione dei suoi manoscritti inediti[6].
Per quanto concerne il teatro, all’interno dell’opera di Vian si potrebbe tracciare una linea immaginaria che va da Tutti al macello (1947), destinata a suscitare indignazione per l’irriverente ritratto delle Forze di liberazione francesi e per la messa al bando del loro opportunismo, a I costruttori d’Imperi (1959), rappresentata postuma e da cui si evince l’ossessione dell’autore per la morte. Se la prima è una pièce contro la guerra in tutte le sue forme, la seconda richiama la buzzatiana Un caso clinico, rappresentata a Parigi nel 1955 su adattamento di Albert Camus e tratta dal racconto dello stesso Dino Buzzati Sette piani. Mentre I costruttori d’Imperi rappresenta la mortale “ascesa” di un padre di famiglia, il cui mondo si restringe progressivamente, impegnato a sottrarsi alla minaccia di una misteriosa creatura chiamata Schmürtz, Un caso clinico mette in scena un uomo indebolito dalla malattia e la sua “discesa” verso la morte nella più totale inconsapevolezza. L’immagine utilizzata da Boris Vian e da Dino Buzzati per identificare la fine dell’esistenza si rivela quindi la medesima[7].
Cinemassacro si colloca esattamente a metà percorso tra Tutti al macello e I costruttori d’Imperi. Pur non possedendo né l’umorismo nero della prima, né la disillusione della seconda, diventa l’emblema di quel periodo di passaggio che permise a Boris Vian di evolvere e affinare il suo stile crescendo in esperienza.
Per la Francia, il quinquennio 1951-1955 fu il periodo d’oro del cabaret[8]. Dopo una brutta guerra, e un altrettanto brutto dopoguerra, la gente aveva di nuovo voglia di ridere e di riscoprire il piacere della poesia, del teatro e del cinema, nonché le gite lungo la Senna da tempo dimenticate. È questa l’epoca in cui Boris Vian compose il maggior numero di sketch; testi che si contraddistinguono per l’antimilitarismo, l’anticlericalismo, l’antipatriottismo, l’antieroismo ma che esprimono anche la sua passione per la science-fiction e soprattutto per il cinema, la musica, il ballo, il canto e la mimica. Testi certamente minori rispetto a molte altre grandi opere di Vian, ma attraverso i quali egli esprime se stesso e dà libero sfogo alla sua creatività. Il desiderio di ridere, tuttavia, non significava accantonare completamente le questioni serie. La guerra d’Indocina, infatti, era ancora una triste realtà; ecco perché, nel medesimo periodo, Vian iniziò a lavorare anche a opere molto impegnate quali Il trattato di civismo, rimasto incompiuto, e la canzone Il disertore, pubblicata nel 1954 proprio nel giorno che segnò la fine del conflitto. Il quinquennio 1951-1955 fu quindi il periodo di maggior ambivalenza di Boris Vian: da un lato egli dimostrò il suo estro comico, dall’altro continuò la sua lotta contro l’assurdità della guerra e le sofferenze che comporta.