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Frankenstein a teatro (II)

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Il presente saggio breve è stato pubblicato per la prima volta sulla rivista Theatre Studies, numero 26-27 (1979-81), pp. 79-88. L’autore è Douglas William Hoehn. La traduzione è a cura di Annamaria Martinolli.

La critica (Theatrical Observer, Times, Literary Gazette, Examiner)

Presumption! bozzettoLa prima rappresentazione di Presumption! si tenne lunedì 28 luglio 1823, alla testa di un programma che prevedeva due farse, The Rival Soldiers e Sharp and Flat. Le recensioni misero in risalto, in modo schietto ma sprezzante, l’estrema soddisfazione degli spettatori per le novità introdotte da questa produzione. Il critico del Theatrical Observer si focalizzò soprattutto sulla tematica dell’uomo che fa un uso irresponsabile della scienza “nel tentativo di ottenere molto più potere di quanto sia stato concesso agli esseri umani sconfinando in un’attività che compete solo al creatore dell’universo”[1]. Tuttavia, il critico ritenne la trasposizione teatrale di Peake degna di nota non tanto per il contenuto morale quanto per l’intrattenimento. Dal suo punto di vista, la pièce avrebbe dovuto continuare a essere rappresentata fino al giorno in cui la popolazione londinese si fosse dimostrata disposta ad andare a vederla. Il recensore specificò anche, con una punta di disprezzo, che i provinciali in visita allo zoo di Londra, situato nelle vicinanze del teatro, avrebbero provato per la visione del mostro sul palcoscenico lo stesso tipo di divertimento manifestato nel vedere gli animali in gabbia. […]

Il Times pubblicò una recensione negativa. Thomas Potter Cooke, nel ruolo del mostro, fu elogiato per le sue doti pantomimiche, ma il critico giudicò il suo personaggio spiacevolmente contraddittorio. Secondo l’autore dell’articolo, infatti, la gentilezza a volte manifestata dalla creatura era inutile e la pièce avrebbe dovuto prendere una posizione morale più netta. I sentimenti del mostro, paragonabili a quelli di un essere umano, vennero giudicati dal recensore privi di qualsiasi valore; in compenso, la funzione drammaturgica del mostro, in quanto responsabile dell’empietà di cui si macchia Frankenstein, suscitava un certo interesse. Le musiche di Watson furono ritenute noiose anche perché contenevano “almeno tredici passaggi che il pubblico ha già sentito nei melodrammi rappresentati negli ultimi tredici anni”[2]. La scenografia fu criticata per l’assenza del laboratorio. In conclusione, il critico del Times affermò che la produzione era molto carente dal punto di vista artistico anche se il pubblico delle gallerie, alla fine “ha più volte chiamato alla ribalta Thomas Potter Cooke”.

Il critico della Literary Gazette iniziò la recensione rassicurando se stesso e i lettori del fatto che Presumption! conteneva un messaggio morale; in seguito, però, analizzò la produzione con più perspicacia del Theatrical Observer e del Times. La prima lamentela fu che la pièce era stata sopravvalutata nella campagna pubblicitaria lanciata dai direttori di produzione. L’opera era giudicata accettabile, ma non garantiva quel livello di divertimento che i produttori si erano posti come obiettivo. Anche se Thomas Potter Cooke, James William Wallack e Robert Keeley erano tutti elogiati per la loro interpretazione, l’umorismo del personaggio di Fritz – impersonato proprio da Keeley – fu giudicato fastidioso. “Per essere veramente apprezzato, questo melodramma avrebbe dovuto essere lasciato solo e soltanto nelle mani del cast di personaggi preternaturali e orrorifici, con quella varietà che solo le morbide emozioni e la musica possono garantire”[3]. Il critico attaccò il lato umoristico della pièce non solo per lo squilibrio emotivo che originava, ma anche perché favoriva una generica mancanza di sensibilità nel modo in cui l’adattatore trattava i personaggi. Dal suo punto di vista, il mostro non suscitava alcuna compassione e il personaggio di Victor Frankenstein aveva poca umanità.

Presumption! locandina

Il recensore dell’Examiner criticò la pièce per il suo suscitare meno compassione rispetto al romanzo. In Presumption!, la morte improvvisa di Victor e del “demonio” preclude i rimpianti finali di entrambi inseriti da Mary Shelley nella conclusione della storia. Questa modifica funziona come espediente drammaturgico per accelerare il ritmo dell’azione; l’obiettivo della pièce sembra essere soprattutto quello di creare uno spettacolo entusiasmante e un conflitto melodrammatico piuttosto che approfondire il personaggio di Frankenstein, permettendogli di profondersi in scuse elaborate o di esprimere qualche giudizio morale, o il personaggio del mostro, infondendogli grande drammaticità o rendendolo oggetto di riflessione filosofica. Per ovvi motivi, la maggior parte dei frequentatori di sale teatrali si dimostrarono soddisfatti di questa combinazione di azione e retorica, ma il critico dell’Examiner avrebbe preferito più sensibilità che sensazionalismo: “Tutta la poesia di questa eccentrica fuga va persa, e il pubblico si limita a vedere un barbaro nordamericano vendicativo che, dipinto d’azzurro, aspetta fuori da una casa per rapire un bambino e uccidere una giovane”[4]. Il recensore non dimostrò alcun problema nei confronti del lato comico del testo, e anzi arrivò al punto di elogiare la comicità di Fritz definendolo uno dei personaggi più riusciti della produzione.
Quasi la metà della recensione dell’Examiner era incentrata su congetture relative agli interrogativi morali sollevati dalla tematica di Presumpion!. L’autore dell’articolo difendeva l’idea della procreazione artificiale ritenendola plausibile ed etica, e rimproverava Peake e il direttore del Lyceum Theatre per la loro pruderie: “È sgradevole che il tentativo di raggiungere la conoscenza venga definito empio o arrogante”[5]. Oltre a difendere la ricerca scientifica, il critico interpretò la figura del mostro da un diverso punto di vista:

Lunedì sera ci siamo sentiti un po’ inclini a vedere in questo dramma una satira del nostro sistema penale, che genera mostri proprio come fa il troppo curioso Victor Frankenstein e cerca di ucciderli per il loro essere esattamente come sono stati generati, anche con un certo compiacimento. […] Il mostro teatrale, come quelli reali, era ben disposto a lavorare sodo, spaccare legna e portare carichi pesanti, ma il sistema ha incrociato la sua strada. La sua gentilezza è stata respinta, i suoi inevitabili pregiudizi sono stati trattati con brutalità, e per vendetta lui cosa fa? Dà fuoco a un cottage. Il travestimento è poco riuscito: è certamente una satira!

L’analogia politica risulta alquanto stiracchiata, ma il fatto che il recensore ci tenga a vedere nel mostro un essere umano dalle molteplici sfaccettature dimostra come l’interesse suscitato dalla pièce andasse oltre il sensazionalismo e la banalità morale. […]

La reazione degli oppositori e di Mary Shelley

Frankenstein di Mary ShelleyL’appoggio della critica e alcune singole lettere di protesta pubblicate dai quotidiani non bastarono a soddisfare coloro che si opponevano all’opera di Peake. Agli inizi di agosto, i muri di Londra furono invasi da manifesti che attaccavano la pièce per la sua “immoralità” e per la “pericolosità delle sue dottrine”[6]. Il gruppo responsabile della denuncia, che si firmava “gli amici zelanti della moralità”, fu subito osteggiato dal furibondo direttore del Lyceum Theatre Samuel James Arnold. Citando la notevole affluenza di pubblico, composto da gente rispettabile, e l’autorizzazione ufficiale ricevuta dal Lord Ciambellano, Arnold smontava l’attacco diretto contro la pièce e minacciava di adire le vie legali[7]. Dopo la pubblicazione della replica di Arnold, le azioni di dissenso persero slancio. […]

La pièce fu vista anche da Mary Shelley. L’autrice di Frankenstein, in una lettera indirizzata a Leigh Hunt, cofondatore dell’Examiner, espresse un’opinione positiva nei confronti delle interpretazioni di James William Wallack e Thomas Potter Cooke e segnalò l’entusiasmo da lei notato nel pubblico la sera della rappresentazione[8]. La trasposizione di Richard Brinsley Peake non la soddisfece appieno, ma l’esaltazione suscitata negli spettatori la spinse a prevedere un incremento dell’interesse nei confronti del suo romanzo. […]

Conclusioni

L’ultima replica di Presumption!, la trentasettesima, andò in scena sabato 04 ottobre 1823, nell’ultima serata prima della chiusura stagionale del teatro. L’opera era inserita in un programma che prevedeva il melodramma The Miller’s Maid, di John Faucit Saville, e la farsa musicale Gretna Green, di Charles Stuart. In seguito, la pièce fu rappresentata con enorme successo a New York City, nel gennaio 1825, e alla Porte Saint-Martin di Parigi, nel 1826[9]. […]

Anche se, negli anni Venti dell’Ottocento, Presumption! non fu il primo melodramma gotico di grande successo, la sua popolarità ebbe un impatto immediato sulle produzioni teatrali londinesi. Nel 1824, l’Adelphi Theatre allestì Valmondi; or, the Unhallowed Sepulchre, di James Thomas Rodwell, che alcuni critici definirono “una delle più straordinarie pièce mai rappresentate sul palcoscenico”[10]. Lo stesso anno, il Lyceum Theatre presentò Thomas Potter Cooke in un adattamento dell’opera di Carl Maria von Weber Il franco cacciatore, una storia fantastica di connivenze demoniache e vendetta. Presumption! aveva contribuito a solleticare l’appetito del pubblico per le fantasie teatrali spaventose con conclusioni morali inequivocabili. La pièce spicca tra i melodrammi gotici degli anni Venti dell’Ottocento per la sua controversa tematica. In uno stile stemperato dalle pretese di sensazionalismo, il melodramma poneva al pubblico i problemi filosofici sollevati da Frankenstein. Com’è logico supporre, non tutti i frequentatori del Lyceum Theatre accolsero la pièce in modo perspicace; molti spettatori presero alla lettera i suoi avvertimenti relativi all’ingerenza dell’uomo nella natura, altri si scagliarono contro il teatro per la sua stessa presunzione nel sollevare un dibattito sull’argomento o rimproverarono a Peake la sua incapacità di esprimere la sensibilità morale e le implicazioni sociali del romanzo di Mary Shelley.
La prima stagione di Presumption! non si distinse particolarmente per i giudizi ricevuti, ma suscitò un entusiasmo davvero atipico per gli inoffensivi palcoscenici londinesi dell’epoca.

Frankenstein a teatro (I)


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