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Clik here to view.Madama Butterfly di Giacomo Puccini, nonostante il fallimento iniziale dopo il debutto al Teatro Alla Scala di Milano, il 17 dicembre 1904 – e conseguente poesia di Giovanni Pascoli in segno di affetto e fiducia per l’operato del compositore – riuscirà ad ottenere la gloria sperata, passando per il Teatro Grande di Brescia e per il Teatro Regio di Torino per poi, infine, diffondersi e diventare così una delle opere liriche più famose di sempre: chi di voi non conosce, infatti, anche solo la celebre Un bel dì vedremo, nella quale la piccola ‘ben nomata’ farfalla riporrà tutta la sua fiducia?
Siamo a Nagasaki, e l’ufficiale della Marina americana Pinkerton, da poco approdato sull’isola, è in cerca di moglie: si rivolge a Goro, il nakodo (per chi non lo sapesse, un sensale), che gli combina il matrimonio con la famosa Cio-Cio-San, quindicenne la cui famiglia è caduta in disgrazia. Dopo il matrimonio, il successivo abbandono della famiglia della fanciulla – a causa della rinnegazione della di lei religione, come simbolo di una nuova vita – e il prodotto d'”amore”, il soldato ritorna in patria. La giovane madre si ritrova così a dover sorreggere il peso di una nuova sopravvivenza di stenti e disperazione fino a quando, dopo aver appreso da parte di Sharpless (console degli Stati Uniti nella città giapponese) del nuovo sposalizio dell’amato, stremata si toglie la vita.
È questa un’opera tutt’altro che facile – soprattutto per i novizi – che mette a dura prova l’attenzione e la passione del pubblico, soprattutto se la produzione risulta poco amalgamata ed immedesimata: tanti sono i momenti introspettivi, affidati alle capacità dell’orchestra e del maestro concertatore, che dev’essere in grado di risaltare appieno il sentimento delineato da Puccini e da Giacosa-Illica – e chissà se la stessa Elena di Montenegro, eletta a cui venne dedicata la tragedia orientale, fu in grado di capirlo.
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Il 16 gennaio al Teatro Fraschini di Pavia, il ruolo della forte giapponesina è affidato al soprano rumeno Cellia Costea, che delude terribilmente le aspettative: soprattutto nel primo atto, riesce a sporcare terribilmente il suono, senza riuscire a recuperarlo; risulta inoltre calante e i suoni acuti sono fissi in una maniera demoralizzante. Peccato se si pensa al timbro assolutamente banale, alla buona estensione e alla dolcissima atmosfera rovinata sin dalle prime note del Vogliatemi bene – senza contare la dimenticanza di alcune parole nell’aria tanto attesa del secondo atto, che le fanno perdere quel poco di pathos (anche a livello recitativo) che era riuscita ad acquisire nel corso della messa in scena.
Il Pinkerton di Giuseppe Varano non risulta, ahimé, meglio. Il volume del tenore è totalmente inesistente anche a causa della sua performance ingolata, e il poveretto, nonostante lo sforzo e il tentativo di dare corpo al personaggio, non riesce a superare il suono dell’orchestra e il gelo del palcoscenico. Che sia forse colpa della cattiva preparazione di base?
Il ruolo di Suzuki, la fedele servente della quindicenne, è affidato a Giovanna Lanza, mezzosoprano “brunito” (come si legge sul sito ufficiale) dall’interessantissimo carico timbro e dalla commovente capacità recitativa, che pur tuttavia non riesce a convincere totalmente la platea: i bassi risultano poco voluminosi – in tutti i sensi – ma l’immedesimazione (essenziale in questo Giacomo Puccini) e la mimica facciale le rende comunque gloria. Il baritono Sharpless, Domenico Balzani, risalta forse tra tutti, grazie al buon vibrato e all’emissione vocale piena e sicura.
Buona la prova di Saverio Pugliese alias Goro, Manrico Signorini nei panni dello zio Bonzo – il primo ad accusare Butterfly di tradimento, Antonio Barbagallo nel Principe Yamadori. Kate Pinkerton – Annalisa Sprovieri appare poco presente ed un velo sembra ricoprire la sua voce.
In linea con i personaggi il coro del Circuito Lirico Lombardo.
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La regia e la scenografia sono affidate rispettivamente a Giulio Ciabatti e Pier Paolo Bisleri che sottolineano il vuoto e il senso di morte che riveste l’opera, passando attraverso scene minimal e tradizionali: non si va oltre lo sfogo di una nota di colore e non si penetra di più il Giappone di quanto non farebbe un turista nelle sue due settimane di ferie annuali – eppure, quando nel secondo atto ci ritroviamo nella casa della sfortunata, sul tavolino compare a mo’ di tovaglia la bandiera americana, come un totale abbandono amoroso ed un intrinseco rispetto.
Veniamo finalmente alla direzione. Il maestro Giampaolo Bisanti cerca sicuramente di lavorare al meglio, tuttavia l’orchestra non sembra coinvolta, adeguatamente sensibilizzata e spesso è in ritardo o in anticipo rispetto ai cantanti. Errore imperdonabile, a cui il pubblico sembra non far caso.
Tutto sommato, l’opera ha suscitato le emozioni “consuete”, facendo commuovere il pubblico tra dolore ed empatia verso la sfortunata orientale grazie alle musiche struggenti, alla storia toccante e in qualche modo attuale, tuttavia le molte pecche soprattutto nelle arie più importanti denotano la necessità di notevoli modifiche al cast o di maturità nell’esecuzione di un’opera fra le più drammatiche di sempre.