Quota neve (Meja sneženja), del recentemente scomparso Marko Sosič e per la regia di Goran Vojnović, è il testo che il Teatro Stabile Sloveno di Trieste, in coproduzione con il Teatro Prešeren di Kranj, sta portando in scena in questi giorni non solo allo scopo di ricordare l’opera del suo autore ma anche con la volontà di attirare l’attenzione del pubblico su una tematica importante come quella della solidarietà tra persone che, pur appartenendo a mondi e generazioni diverse, possono trovare la forza di andare avanti solo avendo il coraggio di sostenersi reciprocamente.
La figura centrale dell’opera è un padre, ormai in età avanzata e con i primi segni di confusione mentale, che spinto dalle sue convinzioni ha finito per rendersi indirettamente responsabile della morte della moglie i cui parenti non sono mai stati accolti nel nucleo familiare perché considerati estranei. I due figli, Ida e Ivan, ora adulti – lei insegnante, lui disoccupato – hanno così maturato evidenti problemi emotivi legati alla mancanza della figura materna, la cui tragica scomparsa gli ha causato un trauma psicologico ancora non superato. In un contesto familiare in cui il padre, a causa del suo stato di salute e di una cocciutaggine tipica della vecchiaia, fatica a instaurare un dialogo onesto con i figli, e questi ultimi, sempre un po’ in soggezione di fronte a un patriarca ancorato alle sue convinzioni, non riescono a dare sfogo alle paure e ai dubbi che li tormentano, si inserisce il “terzo incomodo” costituito dalla giovane Leila, parente di quella madre la cui ombra è sempre presente e di conseguenza parente loro.
La forza del testo consiste in questi tentativi di comunicazione che vanno a vuoto eppure finiscono per raggiungere ugualmente il loro scopo; in un lento e progressivo sbloccarsi della situazione si apre uno spiraglio su una possibilità di contatto, tra le nuove generazioni, che forse favorirà anche un superamento definitivo del trauma. Nel monologo finale, in presenza di Leila, Ida dà libero sfogo a quell’incubo che l’angoscia e trova il coraggio di parlarne apertamente, di confessare fino in fondo la sua paura e forse andare finalmente oltre, grazie anche alla presenza e al sostegno della ritrovata cugina.
Le tematiche affrontate sono molteplici e ricche di sfaccettature: c’è la vecchiaia e la perdita di autonomia, che però sono accompagnate da un’incapacità di superare i propri preconcetti, anche per quanto riguarda il ruolo della donna all’interno della famiglia (vedesi ad esempio il fatto che il padre, pur convivendo con il figlio disoccupato, esige che sia la figlia ad aiutarlo a lavarsi, a lavargli e stirargli le camicie, ad attaccargli i bottoni e a fargli da mangiare, come se “in quanto donna” fosse obbligata a svolgere una funzione di accudimento che, viste le circostanze e l’epoca in cui siamo, potrebbe tranquillamente ricoprire il figlio). C’è il problema del precariato che, spesso, con l’illusione di trovare finalmente una sistemazione, spinge persone non abbastanza qualificate ad accettare lavori potenzialmente pericolosi che potrebbero mettere a repentaglio le loro vite. Ci sono i rapporti familiari – difficili, complicati, tesi – perché nessuno vorrebbe ferire l’altro ma vorrebbe anche avere il diritto di esprimere apertamente la propria opinione, le proprie ansie, le paure, ed essere accettato per le sue idee senza che gli venga opposto un netto rifiuto. C’è il rapporto con l’altro, colui che non si conosce e non si è mai voluto conoscere, verso il quale è difficilissimo fare il primo passo, un po’ per paura che i preconcetti trovino conferma, un po’ per il terrore di scoprire una persona che ci assomiglia ed è perfettamente in grado di capirci. C’è la mentalità basata sul sentito dire e non sulla riflessione personale, come quando Ivan racconta a Leila le sue convinzioni sul fatto che l’aria è pulitissima e i problemi climatici non esistono perché gliel’ha detto un amico fidato. C’è, soprattutto, l’ombra di un passato che non può essere dimenticato e che pesa sulle vite dei protagonisti come uno scomodo fantasma, che ogni tanto emerge in un abbozzo di conversazione lasciato a metà. Il tutto, nonostante il contesto drammatico, ha un che di poetico, in quanto nell’incomunicabilità si percepisce un tentativo di ognuno di comunicare a modo suo, con un gesto, uno sguardo…
Eccellenti i quattro attori, Borut Veselko (il padre), Primož Forte (Ivan), Nikla Petruška Panizon (Ida), Živa Selan (Leila), che, pur conferendo a ogni personaggio caratteristiche proprie, hanno abilmente superato la difficoltà di portare al pubblico un testo che solleva tanti interrogativi diversi almeno quante sono le persone in sala. Scrupolosa la scelta di una scenografia, a cura di Marco Juratovec, capace di trasmettere l’idea di un “interno familiare” ancora chiuso ai rapporti umani esterni – anche grazie allo sfruttamento della zona centrale del palcoscenico su cui vengono erette le tre pareti della casa – . Marko Sosič va ricordato anche per aver introdotto, durante il periodo in cui ricoprì il ruolo di direttore del Teatro Stabile Sloveno, i soprattitoli italiani durante gli spettacoli, favorendo così il contatto tra due culture che fino ad allora si erano limitate a sfiorarsi.
Lo spettacolo va in scena, soprattitolato, al Teatro Stabile Sloveno di Trieste fino al 30 gennaio, poi il 07 febbraio si sposterà al Kulturni Dom di Gorizia e dal 17 al 21 febbraio sarà in tournée al Teatro Prešeren di Kranj, in Slovenia.