Riportato sulla scena dopo l’interruzione obbligata di marzo, il Dio del massacro, della drammaturga francese Yasmina Reza, è stato lo spettacolo di apertura della stagione di teatro a leggio dell’Associazione Amici della Contrada al Teatro Bobbio di Trieste. Il testo, che di per sé può anche funzionare con una scenografia minimalista, non è di facile interpretazione in quanto si avvale di un linguaggio che non è solo verbale e gestuale ma anche molto fisico, e in questo senso il contesto del leggio non aiuta.
La trama, dopo l’uscita del film Carnage di Roman Polanski nel 2011, è nota ai più. Due coppie di genitori, Véronique e Michel, Annette e Alain, si incontrano nel salotto di casa di una delle due, dopo che uno dei ragazzi ha aggredito l’altro, per discutere i provvedimenti da prendere. L’iniziale tentativo di conciliazione verrà ben presto spazzato via dall’incapacità degli adulti di trattenere i loro istinti primordiali, e si trasformerà in un massacro verbale che porterà alla vittoria della violenza sulla civiltà. Quello che l’autrice denuncia è il prevalere dell’individualismo e dell’egoismo e lo sfruttamento del linguaggio come arma per denigrare gli altri e non allo scopo di instaurare un dialogo. Di primo acchito, sembra che i protagonisti si riuniscano per fare l’interesse dei loro figli, quando in realtà stanno solo pensando al loro – vedesi Alain che interrompe continuamente la conversazione per rispondere al telefono o Michel che parla della figlia di nove anni definendola mocciosa e ammettendo di essersi sbarazzato del suo criceto perché lo trovava schifoso – .
Il testo di Yasmina Reza non fornisce dettagliate indicazioni sceniche – sappiamo che sono in un salotto a parlare e che c’è un tavolino con i libri d’arte di Véronique e un vaso di fiori con i tulipani olandesi simbolo di quelle apparenze che si cerca di mantenere e di quel tono di rispettabilità che si vuole conferire all’ambiente – ma contiene elementi simbolo della nevrosi di ogni personaggio: gli scarichi di bile di Annette, il cellulare di Alain, i libri di Véronique e il criceto che Michel ha scaraventato giù dalla finestra. Nel teatro a leggio, la complessità di esprimere appieno la potenza di questi elementi finisce per rendere il testo meno efficace. Vediamo Annette sentirsi male, ma non Véronique e Michel prodigarsi comicamente per salvare i libri d’arte di Véronique in bella mostra per mettere in risalto la sua cultura; assistiamo alla distruzione del cellulare di Alain da parte di Annette ma solo tramite il rumore di uno scarico di gabinetto fuori scena che riduce di molto lo sfogo di una nevrosi repressa. Il passaggio dalla quiete all’aggressione vera e propria, poi, genera alzate di voce che non arrivano mai a quel “massacro” che rende la pièce di Yasmina Reza estremamente divertente nella sua crudeltà, oltre che attuale.
La scelta di collocare al centro il tavolino con il vaso di fiori, sempre illuminato, è efficace nella sua simbologia e anche quella di spingere gli attori a spostarsi da un leggio all’altro con il progredire della lettura, o ad assumere posizioni centrali o al margine, tuttavia, come sopra esposto, la pièce in questa versione perde molto e non riesce a catturare il pubblico come dovrebbe. Il riferimento alla canzone di Paolo Conte Via con me, che nel testo giustifica il nomignolo affettuoso con cui Alain chiama Annette, trova adeguata collocazione nel finale, come colonna sonora, quando le due coppie rompono ogni rapporto.
La pillola di poesia iniziale, letta prima dello spettacolo e incentrata sul poema Il viaggio di Gialal al-Din Rumi, parla di quel “viaggiare in noi stessi” che in effetti i protagonisti del Dio del massacro sono incapaci di mettere in pratica.
Tutti bravi i quattro attori, Sara Alzetta (Véronique), Daniela Gattorno (Annette), che cura anche la regia, Adriano Giraldi (Michel), Valentino Pagliei (Alain), che attraverso il tono di voce e la gestualità compensano per quanto possibile quella fisicità indispensabile che manca per le caratteristiche intrinseche del teatro a leggio stesso.