Il presente articolo è tratto da The Guardian, 16 dicembre 2014. L’autore è Michael Billington. La traduzione è a cura di Annamaria Martinolli. © Courtesy of Guardian News & Media Ltd
La significativa produzione a opera del regista Rupert Goold di questa controversa pièce è scomparsa di colpo dopo una sola stagione a Stanford nel 2011. Ripresa nel 2014, con buona parte del cast originale, ne sono rimasto ancora più positivamente colpito. Ambientando il testo nella Las Vegas contemporanea, Rupert Goold mostra il lato più kitsch del capitalismo invaso dalla realtà emotiva.
Il regista inglese non è il primo ad acquisire la consapevolezza che Il mercante di Venezia è un testo incentrato sui soldi: soldi prestati, presi in prestito, rubati e investiti. Ma il suo tocco più brillante è giustapporre la cultura dei casinò di Las Vegas alla fantasilandia dello show business di Belmont. La Porzia di Susannah Fielding non è solo il premio di un opulento gameshow televisivo chiamato Destiny: in uno dei momenti più spiritosi della serata giustifica le allusioni classiche del testo vestendo i panni di una Esione di biondo imparruccata che deve essere vinta da un erculeo Bassanio. La bellezza della performance della Fielding, tuttavia, consiste nella sua ambivalenza. Per un attimo la sua Porzia è una razzista istintiva. Nella scena del processo, mette in scena un salvataggio mozzafiato all’ultimo minuto di Antonio, anche se l’immagine che rimane è quella di lei che impazzisce per lo strazio, sulle note di Are You Lonesome Tonight, quando si rende conto che suo marito è fermamente innamorato di un uomo.
Malgrado Porzia sia il fulcro della produzione, lo Shylock interpretato da Ian McDiarmid, subentrato a quello di Patrick Stewart, è non meno ambivalente. Nella scena cardine, dove lotta sia contro la defezione della figlia che le perdite di Antonio, ritaglia un personaggio pietosamente disorientato mentre si rovescia accidentalmente il caffè sul vestito. Tuttavia, sfilandosi in fretta la parrucca alla fine della scena con un gesto che anticipa quello di Porzia, Ian McDiarmid dà l’idea di un uomo che abbandona il ruolo dell’ebreo assimilato in una società antisemita. Non si tratta di una performance eroica ma è fedele al complesso ritratto shakespeariano di Shylock come predatore capitalista e allo stesso tempo estraneo vittimizzato.
Quello che davvero sorprende di questa produzione è l’irrefrenabile creatività. L’Antonio di Scott Handy finisce per respingere l’oggetto del suo amore, il Bassanio di Tom Weston-Jones, che lo ha portato a un passo dalla morte. La diligente Jessica di Caroline Martin visibilmente mal sopporta la condiscendenza di Porzia che la tratta come un trofeo convertito. E sebbene sembri un espediente, Jamie Beamish dà un senso compiuto alla trasformazione del clown Launcelot Gobbo nel tipo di imitatore di Elvis che infesta i casinò in stile Rialto evocati dalla scenografia di Tom Scutt.
Eppure, prendendo spunto da Elvis, il trionfo di questa produzione è quello di mostrare che negli hotel sfarzosamente stravaganti del Nevada il crepacuore è autentico.
Qui è possibile vedere il trailer dello spettacolo: